“Il deserto dei Tartari”: una parabola sul tempo della vita

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Fresco di nomina al grado di Ufficiale, il giovane Tenente Giovanni Drogo prende servizio alla Fortezza Bastiani, uno dei più remoti e lontani avamposti strategici militari, il quale si affaccia su una sterile e vuota pianura chiamata “Deserto dei Tartari”. Raggiunta la Fortezza dopo un viaggio di qualche giorno, il Tenente si rende conto dell’aria sinistra ed inospitale dell’avamposto. Drogo viene a conoscenza di strane ed antiche storie leggendarie narrate dagli Ufficiali più anziani. Storie incentrate su un misterioso nemico, un tempo vero incubo e fomentatore di incursioni e razzie e che ora, da qualche anno, sembra essere sparito nel nulla. In un primo momento Drogo cerca in tutti i modi di ottenere il trasferimento in un avamposto vicino la capitale del Regno. Ma ben presto l’Ufficiale subisce la fascinazione di questo luogo pieno di mistero e dentro di sé inizia a prendere forma lo stesso desiderio dei suoi commilitoni e sottoposti: attendere il nemico e fronteggiarlo. La Fortezza Bastiani diventa la nuova casa di Drogo, il luogo dove aspettare il glorioso giorno per la vita di ogni soldato: l’incontro e lo scontro con il nemico. Un nemico che tarda ad arrivare e che non accenna a mostrarsi nel remoto avamposto. Passano i giorni, i mesi, gli anni e l’attesa, insieme alla vita militare, inizia a corrodere i corpi e gli animi di tutta la guarnigione e di un ormai anziano Giovanni.

Scritto da Dino Buzzati, romanziere e giornalista per il Corriere della Sera, e pubblicato per la prima volta nel 1940 dopo Bàrnabo delle montagne (1933) e Il segreto del Bosco Vecchio (1935), Il deserto dei Tartari, opera letteraria di rilievo del Novecento italiano, in seguito trasposta egregiamente su pellicola nel 1976 da Valerio Zurlini, nasconde – sotto il facile aspetto di romanzo catalogabile tra i generi d’avventura e di vita militaresca – molto di più. Il romanzo di Buzzati dimostra di essere un’amara metafora sull’esistenzialismo dell’uomo e sull’ineluttabilità del trascorrere del tempo durante la vita. Attraverso le vicende del tenente Drogo, l’autore aiuta il lettore a riflettere sulle possibilità che la vita può offrire a chiunque. Possibilità che possono essere qualcosa di concreto, una vera svolta nella vita di ogni uomo se sfruttate correttamente ma che – contemporaneamente – rischiano di mutare in veri e propri sogni ad occhi aperti e mai realizzabili nel momento in cui la concretezza e la realtà, vengono sostituite da qualcosa che, materialmente, è lontano da noi. È questo inseguire qualcosa di non presente, di una forma non ben specifica, che porta il protagonista della storia narrata a non accorgersi del trascorrere del tempo, durante il quale sta consumando la sua intera vita, auto-privata da sentimenti e affetti, nell’attesa che qualcosa (o qualcuno) arrivi per poter realizzare i propri sogni di vittoria o di una morte gloriosa.

Se da una parte il romanzo di Buzzati mostra l’incedere inesorabile del tempo che logora tutto e tutti, dall’altra parte dimostra come la più grande paura legata ad esso possa essere sconfitta: non è nascosto, quindi, che oltre al tempo l’altro grande tema di fondo de Il deserto dei Tartari è la paura della morte, evento e timore ancestrale che riguarda ognuno di noi. Ed è proprio questo terrore, questa consapevolezza della precarietà della vita che, spesso e volentieri, spinge ogni persona a rincorrere con affanni e sforzi vari, i propri obiettivi e il compimento di essi. Nella parabola della figura-tipo di Drogo, l’autore è riuscito a dimostrare come tali timori possano essere sconfitti: da aitante e giovane tenente, dopo trent’anni di servizio nell’avamposto, il protagonista, anziano e ammalato, si trova a dover affrontare l’estremo addio alla sua esistenza conscio, tuttavia, di non aver sprecato la propria vita. Anche se quell’incontro/scontro tanto agognato non è mai giunto, il Drogo di Buzzati è riuscito ad affrontare – senza paure alcune – e “sconfiggere” senza fretta il trascorrere del tempo stesso.

Il deserto dei Tartari conferma di essere un romanzo-specchio attuale e sempreverde che oggi come oggi – in cui la vita frenetica del XXI secolo rappresenta la quotidianità – riesce ancora a far riflettere il lettore invitandolo – allo stesso tempo – a vivere ogni attimo presente senza affanno.

- 11/12/2017

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