Sulla silloge di Annelisa Addolorato “Guardando la mar-il nostro chi” (iQdB). Intervento di Lidia Caputo

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La mia prima impressione, osservando la copertina della silloge ancora  di Annelisa è stata quella di una simbiosi tra donna e natura, poiché il volto pensoso della fanciulla, appare come un bocciolo tra gli altri fiori nel suggestivo dipinto Ara dell’eterna primavera di Sofia Stucchi. Ancora di più mi ha incuriosita e trasmesso un’impressione oscillante tra meraviglia e  percezione di un significato complesso e profondo, il titolo plurilingue: Guardando la mar-  il nostro chi, in cui si amalgamano tre idiomi: spagnolo, italiano e cinese. Leggendo il libro, ho compreso che Annelisa è una persona poliedrica, polýýtropos ( dal versatile ingegno come Odisseo) oltre che autrice di raffinate poesie. Ella ha saputo coniugare e armonizzare nella vita, come nell’arte, esperienze, emozioni, conoscenze appartenenti ad ambiti culturali, religiosi, linguistici, antropologici differenti, dalla Cina all’Europa, dalle Americhe all’Oceania. L’autrice ne ha costituito una mirabile sintesi che presenta aspetti originali ed inediti rispetto alle correnti letterarie contemporanee, in quanto non può essere inquadrata né tra i simbolisti, né tra i surrealisti, né tra i poeti ermetici, né tra i neo-sperimentali. Nonostante ammetta di aver navigato tra le opere di altre poetesse e poeti, Anne ha custodito  la sua cifra autentica , despejada y linda per un’ antica consuetudine e intima consonanza con la bellezza di boschi, foreste e dirupi, corsi d’acqua e profondità oceaniche. Anche in questo caso, però, non possiamo considerarla una bozzettista che ci incanta con i suoi idilliaci paesaggi naturali: ella va oltre l’apparenza delle cose, oltre la leggiadria o la disarmonia esteriori, per scavare nell’essenza del realee portare alla luce il suo significato più intimo, metafisico, eterno. Ella scopre nelle cose la loro energia primordiale, ma non desidera conquistarle, possederle, bensì solo custodirle, proteggerle. Nel titolo “Guardando la mar” il significato del verbo spagnolo “guardar” non corrisponde a quello italiano guardare, osservare con lo sguardo, bensì a quello di custodire, salvaguardare. “Mar”,che in spagnolo può essere sia di genere maschile, che femminile, qui appartiene a quest’ultimo genere, poiché rappresenta la matrice della vita sotto forma di liquido amniotico o di acque primordiali generatrici delle forme di vita aurorali.  Il mare è altresì l’eterno movimento, il ritmo dell’esistenza e della rinascita. In chiave psicanalitica esso rappresenta il nostro inconscio e , dal punto di vista esoterico l’energia primigenia. Per quanto attiene il “Chi”del titolo, è un termine di matrice taoista e buddista che si scrive anche “Ch’i”: esso indica l’energia che abbiamo e che siamo, la quale è nelle religioni orientali incommensurabile e profonda come il mare: pertanto deve essere salvaguardata. La nostra autrice è dotata oltre che di un’aura carismatica, di un fine senso dell’umorismo che esercita fin dalla pre.fazione in quanto afferma di far uso di varie licenze poetiche, in parte accolte dalla sua infanzia, in parte acquisite, da altre poetesse e da altri poeti. Dietro il velo dell’ironia appare, ad un’attenta analisi della sua produzione poetica, la sua presa di posizione esistenziale e morale: ella ha deliberatamente fatto la scelta di adottare uno stile pregrammaticale, paratattico, nominale, limitando accuratamente l’uso delle voci verbali per infrangere l’ordine del discorso tradizionale che non è altro che l’espressione dell’omologazione e alienazione della società contemporanea, priva di immaginazione e fantasia, poiché è dominata da una forma mentis razionale, rigida, unidirezionale.  Anche dal punto di vista metrico, il verso non rispetta alcun canone sillabico o ritmico. Di solito la poetessa adopera un verso lungo che si chiude concettualmente alla fine di ogni rigo. Altre volte il verso si spezza all’improvviso, anche dopo due parole, rimane sospeso, incompiuto, allusivo come se volesse coinvolgere il lettore a immaginare il non detto o ciò che di per sé è ineffabile e impronunciabile. Nelle liriche di Anne prevale un’ eterea innocenza e si rinnova la ricerca di un Ursprung , ovvero della forma originaria del nostro aprirci al mondo, che alcuni individuano nella Ursprachelinguaggio primigenio che si articola nella comunicazione prelogica dell’arte e della poesia. Nel saggio del 1936 su  L’origine dell’opera d’arte Martin Heidegger (M: Heidegger, Sentieri interrotti, a cura di P.Chiodi, Firenze, La Nuova Italia 1968, pp. 56 e 61) sostiene che l’opera d’arte «è messa in opera della verità» e fa sì che il mondo si costituisca in quanto tale in rapporto all’Essere. Nel dischiudere una parola di senso per l’uomo contemporaneo, l’artista intesse un rapporto complesso, talvolta critico con la famiglia, con la polis di appartenenza, con l’esperienza quotidiana intrisa di dolore e di speranza. Nonostante ciò Anne dissemina nei suoi versi scintille di una trascendenza, di una tensione viva verso l’oltre e verso l’altro. Nella poesia eponima della raccolta, da un circuito di stelle, sette acustiche stelle si sprigiona l’energia delle “originarie madri”, coloro che costituiscono il fondamento religioso di tutte le grandi civiltà dell’Oriente e dell’Occidente. Mirabile è anche il dono che la primordiale fede ellenica, nei culti e  miti preolimpici ha generato con il “Gnòthi seautòn” che ci invita  a penetrare nelle profondità del nostro essere per scoprirne l’essenza, la sfera più intima, ma anche ad andare oltre. Dalla nostra autrice, la cui indole , mio avviso è affine a quella di Odisseo, siamo indotti a corteggiare i mari ignoti dei nostri simili, a conoscere gli altri senza giudicarli, ma abbracciandoli con tenerezza, per scoprire in loro dei tesori indivisibili. Sapientemente Anne si cela dietro la figura mitologica della ninfa Calypso,  la nasconditrice, a cui dedica un poema in prosa nel mezzo della sua silloge, ma in realtà tutta la raccolta costituisce un Epos  dell’antica e nuova conoscenza. Questa si realizza non solo durante l’esperienza erotica, ma nell’essere in sintonia con l’essere cosmico e universale che vibra in ognuno di noi. Come scrive Annelisa nell’ultima lirica: Ogni giorno: Mi congratulo con l’orizzonte,/nel sorprendente/ gioco delle inclusioni/ e del nuovo mattino./ Siamo tutti esseri diversi, popoliamo il mondo/ e siamo sempre capaci di miracoli.

 

 

 

 

 

 

 

- 22/04/2022

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