Psicologia immaginaria

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In un sito, immagino frequentato soprattutto da studenti di liceo – studia rapido – si scrive, a proposito dell’Elettra di Sofocle, che la figlia di Agamennone “è alimentata da un odio morboso nei confronti della madre”. Ecco come può essere deviante una lettura esclusivamente psicologica del teatro greco antico – e non solo di quello greco – , perché significa trascurare da una parte i problemi morali, politici, sociali che il poeta drammaturgo antico vuole proporre al pubblico e dall’altra che non è interesse predominante del drammaturgo antico la caratterizzazione psicologica dei personaggi. Ecco il link della voce Elettra del sito:

https://www.studiarapido.it/elettra-tragedia-di-sofocle-trama-e-analisi/

Questa caratterizzazione pervade se mai la lettura moderna di Hofmannsthal – Elettra è un caso di isteria – così bene individuata poi dalla musica di Richard Strauss. Ma Sofocle è un altro mondo. Elettra propone al pubblico ateniese il dilemma della riparazione di un torto, del risarcimento di una sofferenza. Eschilo aveva letto nel mito degli Atridi un processo di progressiva consapevolezza della giustizia, di come una società esca dallo stato tribale, e della giustizia dente per dente, attraverso l’istituzione di magistrature che regolino la vita della collettività. In questa prospettiva la vendetta è un crimine che va punito. Perché la catena dei crimini sarebbe interminabile se ogni crimine dovesse essere vendicato da un crimine uguale. Solo un tribunale cittadino può porre fine ai crimini, spezzare la catena dei delitti, condannando definitivamente o assolvendo l’imputato. Sofocle si pone su tutt’altro piano. Forse non ha molta fiducia nella giustizia dei tribunali umani. E perfino nemmeno degli dei. La solitudine dei suoi personaggi è assoluta. Ciò che invece vuole discutere sulla scena è come si risarcisca, se si può risarcire, una sofferenza smodata come quella di Elettra, non solo resa orfana del padre dalla madre, ma confinata in uno stato quasi servile e disprezzata dall’amante della madre. Alla sorella che la invita alla prudenza, a temere i potenti, perché sono i potenti a governare il mondo, e schiacciano anche chi è giusto, avere ragione non ci salva dalla loro furia, ma anzi spesso la scatena; a tutte questa ragioni di sottomissione, di sopportazione Elettra risponde seccamente: chi soffre ciò che io soffro ha diritto di vendicarsi. Crisotemide, la sorella, allora, le osserva che nel mondo non è mai la giustizia a regolare la vita, ma la forza, il dominio, la prepotenza dei potenti, che le leggi non proteggono l’indifeso, l’innocente, il giusto, ma sono sancite dagli stessi potenti e a favore dei potenti. Come può dunque una donna, com’è lei, senza potere, opporsi alla volontà dei potenti? Elettra, anche a queste obiezioni, risponde secca: Non voglio vivere in un mondo con queste leggi. Ecco il problema che Sofocle imposta nell’Elettra, senza dargli risposta. Sofocle, come tutti i grandi drammaturghi, pone domande, non dà risposte. Elettra odia la madre perché uccidendole il padre l’ha gettata in un abisso di sofferenza. E vuole ristabilire l’ordine infranto: ripagandola della stessa moneta. Cosa che Oreste compirà. E quando Elettra udrà l’urlo della madre colpita urla al fratello: colpisci ancora, colpisci due volte. Oreste, dopo avere ucciso la madre, trae in inganno Egisto e sgozza anche lui. E la tragedia finisce qui. Di una punizione dei matricidi nessun cenno. Ma nessuno dei due figli, però, acquista, con il matricidio, ciò che sperava di ottenere: pareggiare il conto, finire di soffrire. La sorella uccisa, Ifigenia, non torna i vita. E non torna in vita il padre. Tutto ciò non è detto, ma la solitudine in cui piombano alla fine della tragedia i due fratelli è senza consolazione, senza rimedio. Da qui parte, forse, Euripide, anni dopo, riscrivendo il mito di Elettra: dopo avere ucciso la madre, Oreste guarda la sorella e chiede: Che cosa abbiamo fatto? Abbiamo ucciso nostra madre! Ma con Euripide il teatro si avventura a porre altre domande. Che ancora, oggi, non hanno trovato una risposta.

Oreste uccide la madre

Corollario: non solo in Italia è diffusa l’abitudine di leggere psicologicamente romanzi, teatro, film. Ma di regolare il proprio giudizio psicologico sulle proprie abitudini e concezioni di ciò che è normale e di ciò che non lo è. Elettra odia “morbosamente” la madre. Perché l’odio per una madre non può che essere morboso. Poco importa che il personaggio elenchi le sopraffazioni che la madre le ha fatto subire. Una figlia, se odia la madre, non può che odiarla “morbosamente”. E un uomo politico, se agisce diversamente da come ci si aspetta, è pazzo, narciso, perverso, come se per il suo comportamento non esistessero motivazioni soprattutto politiche: eh no! perché se la normalità politica è quella che penso io e di chi pensa come penso io, allora chiunque agisca diversamente è pazzo. Di questo passo si chiude ogni porta a una discussione seria sui fenomeni storici, politici, letterari, artistici. Se la psicologia diventa criterio giudicante di tutto, e per di più regolato su ciò che io ritengo psicologicamente normale, allora ogni discussione politica, letteraria, artistica diventa impossibile, perché invece di discutere di ciò che è politico, letterario, artistico, si discute o, meglio, si sproloquia su quanto la psicologia degli uomini politici, dei personaggi di un romanzo, di un dramma, di un film, di una pittura sia conforme o no a ciò che si ritiene la normalità psicologica degli uomini. Sono buttate alle ortiche tutte le riflessione che da qualche millennio si sono condotte sulle forme letterarie, pittoriche, teatrali, sulle leggi che regolano la politica degli Stati, e sulla stessa reale considerazione di che cosa sia la psicologia, che cosa i meccanismi che regolano i comportamenti umani. Una insopportabile, sconclusionata, interminabile chiacchiera su categorie psicologiche immaginarie.

In margine: l’immagine in evidenza, all’inizio, è un gruppo scultoreo del I sec. a. C. che rappresenta i due fratelli Oreste ed Elettra.

- 14/05/2022
TAGS: teatro

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