“L’uomo sul treno”: thriller che guarda al cinema hitchcockiano con occhio contemporaneo

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Con un passato da ex poliziotto per il Dipartimento di New York e un presente da agente assicurativo, Michael McCauley (Liam Neeson) si vede crollare il mondo addosso quando, in un giorno come tanti, gli viene comunicato di essere stato licenziato per troppa efficienza. Sul treno di ritorno per casa, immerso nei suoi pensieri e sul come affrontare la vicenda con l’amorevole moglie e l’affettuoso figlio, Michael viene avvicinato da una donna, Joanna (Vera Farmiga) la quale, dopo un’iniziale conversazione, gli fa una strana proposta: in un luogo sicuro sul treno sono nascosti 25.000 dollari da prendere subito e, se Michael accetta, ce ne saranno altri 75.000 se nei vagoni riesce a trovare una persona chiamata Prynne che ha con sé qualcosa che non gli appartiene. Inizialmente confuso Michael, dopo un’attenta ispezione, rinviene la somma nascosta ma il fatto di averla trovata non è altro che una tacita accettazione di quanto proposto dalla donna. Da quel momento per Michael inizia un incubo ad occhi aperti.

In origine fu con Io vi troverò, primo capitolo di una trilogia cinematografica (che presto vedrà una serie tv prequel per la NBC) incentrata sull’ex agente della CIA Bryan Mills che Liam Neeson ha scoperto un ulteriore lato della sua verve attoriale, quella dell’interpretazione dell’eroe d’azione. E di certo tale caratteristica non è sfuggita all’attenzione di Jaume Collet-Serra, il quale ha voluto Neeson come protagonista di L’uomo sul treno (The Commuter, 2018). Quarta collaborazione tra l’attore irlandese e il regista ispanico, L’uomo sul treno riprende le atmosfere e il simil plot del precedente Non-Stop, ampliandone la portata e la messa in gioco di diversi elementi che si concatenano tra di loro. Seminando indizi frammentari tipici del whodunit, di quel giallo deduttivo di stampo classico e mescolandoli con ritmi più frenetici, Collet-Serra confeziona un thriller che guarda al cinema hitchcockiano con occhio contemporaneo, ponendo al centro delle vicende un uomo qualunque apparentemente scelto a caso tra la folla e che, da un momento all’altro, non solo deve affrontare la gravità e la drammaticità di un evento inaspettato (come il licenziamento) bensì, senza motivi veramente validi e ragionevoli, diventa la pedina perfetta di un sadico gioco molto più grande di lui.

L’uomo sul treno porta dentro di sé gli echi di quel Grande Fratello di orwelliana memoria, di qualcuno (o qualcosa) che tiene costantemente sotto controllo le mosse, corrette o sbagliate, dell’attante: così come in Non-Stop anche in L’uomo sul treno, a fare da tramite all’oscura macchinazione, ci pensano i mezzi di comunicazione, medium par excellence per la fruibilità di informazioni in qualunque posto e in ogni momento. Device, quindi, di uso comune ma che in una situazione mistery diventano potenziali oggetti di sospetto, specialmente quando a un messaggio ricevuto o a una criptica telefonata segue un comportamento altrettanto non convenzionale. Addizionando, minuto dopo minuto, tensione e suspense Jaume Collet-Serra permette un prosieguo della narrazione verso un climax paranoico e paranoide che non fa sconti a nessuno, in modo tale da creare intorno a chiunque un’aura di costante diffidenza. In questo L’uomo sul treno, mettendo da parte momentaneamente la sua stessa natura da fiction ergo di prodotto di entertainment, si trasmuta in una metafora riflessiva sugli Stati Uniti controllori e controllati in cui, anche a distanza di anni ormai, è ancora vivo e presente lo straziante e doloroso ricordo dell’undici settembre, senza dimenticare quello della criticissima crisi economica scoppiata nel 2007 e che ha conosciuto il suo acme nel 2008.

Thriller dagli spazi d’azione ridotti, claustrofobici e, per questo, non convenzionali, L’uomo sul treno, rispetto a Non-Stop, è un esercizio di stile leggermente superiore alla precedente opera del regista che già con Unknow – Senza identità ha dimostrato di conoscere i meccanismi del cinema di genere senza, tuttavia, far ricorso a qualcosa di già visto, scontato e banale. Se si è capaci di sospendere il giudizio per una breve sequenza dal sapore decisamente da blockbuster movie (scelta alquanto discutibile ma non per questo da condannare ferocemente), L’uomo sul treno, grazie anche a un sempre convincente e credibile Liam Neeson, si conferma come una buona prova di regia senza infamia e senza lode, che si lascia guardare coinvolgendo volentieri lo sguardo e l’attenzione dello spettatore ma che – parimenti – di certo non assurge all’Olimpo di opere appartenenti al genere e nettamente superiori.

- 24/02/2018

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