“Zodiac”: il nero e ineluttabile abisso terreno del male

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Il 4 luglio del 1969 un duplice e brutale omicidio sconvolge la Contea di Vallejo, zona limitrofa di San Francisco. Mentre la polizia, senza indizi rilevanti, brancola nel buio la redazione del San Francisco Chronicle riceve una lettera minatoria sgrammatica contenente la rivendicazione del presunto killer e uno strano messaggio cifrato. Ad occuparsi dell’inchiesta giornalistica sono Paul Avery (Robert Downey Jr.) cinico giornalista di cronaca nera e il vignettista Robert Graysmith (Jake Gyllenhaal), esperto di enigmistica. Nel frattempo un’altra lettera minatoria, questa volta firmata con il simbolo di un mirino e il nome Zodiac giunge in redazione e altri due omicidi, di cui l’ultimo proprio a San Francisco, sono commessi. Il caso passa al detective Dave Toschi (Mark Ruffalo), benvoluto poliziotto che, nonostante l’aiuto di Avery e Graysmith, non riesce a venire a capo della complicata indagine.

Nel 1995 David Fincher, un ancora semisconosciuto regista noto solo per dei videoclip musicali e per aver diretto Alien³ (id., 1992), terzo sequel della saga fantahorror iniziata nel 1979 da Ridley Scott con Alien (id.), è riuscito a sconvolgere le platee delle sale cinematografiche con Seven (Se7en), uno dei più annichilenti, simbolici e inquietanti thriller di metà anni Novanta. Esperto nel dirigere storie di tensione e suspense (ne sono prova i suoi The Game – Nessuna regola, Panic Room e il più recente L’amore bugiardo – Gone Girl), dieci anni fa Fincher ha deciso di tornare a sondare, con piglio a metà strada tra l’inchiesta e il documentaristico, il nero e ineluttabile abisso terreno del male con Zodiac (id., 2007).

Tratto da fatti di cronaca realmente accaduti di cui – ancora oggi – è in corso l’indagine, Zodiac è la storia vera di un mai identificato serial killer e degli uomini che, nel corso degli anni, gli diedero la caccia cercando di scoprire la sua reale identità. Thriller dai ritmi narrativi lenti ma mai noiosi, il sesto film di David Fincher procede inesorabilmente verso il suo punto di analisi principale che, a sua volta, si scinde in due: da una parte Fincher si pone il compito di mostrare e dimostrare fino a che punto una mente deviata e instabile può arrivare, tenendo sotto il suo perverso giuoco fatto di paura e minacce un’intera città mentre, dall’altra parte, il regista di Denver concede l’attenzione agli uomini che cercarono in tutti i modi di fermare la lunga scia di sangue, a rischio della loro stessa professione e del superamento di quel confine che separa l’ordinario dalla corrosiva ossessione. Ed è l’ossessione il leitmotiv di Zodiac, non un semplice e riduttivo thriller come ne esistono a migliaia, bensì l’accurata ricostruzione antropologica e psicologica di chi fu coinvolto in prima persona alla caccia al killer. I tre protagonisti principali – interpretati rispettivamente da un sempre sui generis Robert Downey Jr., da un asciutto Jake Gyllenhaal e da un efficace Mark Ruffalo – nonostante la loro eterogeneità per professione e per carattere sia in bella mostra, riescono perfettamente ad essere in simbiosi, legati dalla comune ossessione che li vincola al caso dell’assassino e dei suoi inquietanti omicidi.

Se da un lato la prima parte del film di Fincher sembra concentrarsi solo ed esclusivamente sul killer e alle sue sanguinosa gesta, in un crescendo di tensione ed esplosioni di violenza, dall’altro lato nella seconda parte Zodiac mette in standby l’attenzione mediatica e poliziesca sul non identificato assassino, lasciando enorme spazio al decadimento di immagine dei diretti interessati coinvolti: il giornalista Avery che sprofonda sempre più nel suo problema di alcolismo, il detective Toschi sbeffeggiato da stampa e colleghi per non essere capace di trovare prove schiaccianti e infine Graysmith che, assorto anima e corpo all’inchiesta, scivola verso un punto di non ritorno fatto di noncuranza nei confronti dell’ex moglie e di suo figlio. In questo Zodiac condivide più di un punto in comune con il precedente Seven, come quello di mostrare senza filtri alcuni gli effetti dell’eccessiva dedizione che, (in)direttamente, danneggia gravemente le persone coinvolte nell’enigmatica caccia all’uomo.

Cupo, duro e pessimista thriller dal forte impatto emotivo reso tale dalla regia di ferro, dall’altrettanto solida sceneggiatura e dal perfetto e unito cast, Zodiac è un’opera che entra – senza ombra di dubbio – a mani basse e di pieno diritto nel genere di fianco allo stesso Seven ed a capolavori come Il silenzio degli innocenti (The Silence of the Lambs, 1991) del compianto Jonathan Demme e il recente Prisoners (id., 2013) di Denis Villeneuve; quattro titoli che, potenzialmente, formano una tetralogia sull’ossessiva lotta contro il male e le sue incarnazioni.

- 11/12/2017

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