Vita, trasformazione, morte: abbozzo di romanzo, essai autobiografique di uno scrittore morto a venticinque anni

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Oligodendroglioma

Tumore cerebrale derivante dalla glia (glioma), con le caratteristiche di essere costituito da cellule simili agli oligodendrociti maturi e di essere diffusamente infiltrante. Così il Dizionario Treccani definisce l’oligodendroglioma. Si definisce, inoltre, glioma un tumore che si sviluppa a partire dalle cellule della glia (o cellule gliali) del sistema nervoso centrale. È la malattia che fu scoperta nel cervello di Antoine Percheron, quando aveva 22 anni. Morirà quattro anni dopo, nel 2.000. Caratteristica del tumore e la sua penetrazione nelle cellule nervose attraverso molteplici ramificazioni. Il dice il nome stesso, dendron, albero.

Dopo la morte del giovane, tra i file del suo computer fu scoperto l’abbozzo di un romanzo, Végétal, vegetale. Vi si racconta, in 29 intensissime pagine, la trasformazione in albero di un individuo, che la descrive via via che sente l’attuarsi della trasformazione. “Un jour, j’ai changé d’odeur. Je me suis mis à sentir le végétal”, (Un giorno ho cambiato odore. Ho cominciato a sentire il vegetale). Intanto si era laureato alla Sorbona nella sezione cinematografica e voleva diventare documentarista. Aveva cominciato un lavoro di documentazione sull’autismo. Contemporaneamente con gli amici aveva fondato un gruppo “rock bourin”, di cui era il batterista, e il cui nome era “Rien à battre”, niente da percuotere, e aveva cominciato a esibirsi in concerti nel villaggio di Magnitot, nella Val d’Oise, in cui viveva insieme alla madre e al patrigno, Jacquess Drillon, che scriverà un commosso ricordo di Antoine, pubblicato nel 2003 da Gallimard, Face à face, a faccia a faccia.

La madre si era già prima separata dal marito Daniel Percheron, anche lui scrittore. Drillon è anche autore di due essais autobiografiques, saggi autobiografici, Cadence, cadenza, del 2018 e Coda, coda (entrambi termini musicali) del 2022, sempre con Gallimard, pagine di divertita, ma profonda riflessione, del proprio rapporto con il proprio tempo. Per esempio, con il pullulare dei cattivi scrittori. “Mi fanno invidia, quelli che scrivono ‘nell’urgenza’, pressati da una ‘necessità interiore’: quelli per i quali la ‘scrittura’, che io non riesco a maiuscolizzare, è un ‘bisogno vitale’, o piuttosto una ‘terapia’, la liquidazione di un debito innato, un’attività catartica, i falsi Kafka, i mezzi-Beckett di oggi” (traduzione mia, da Coda, pag. 12). Ma veniamo all’abbozzo di romanzo del giovane Antoine Percheron. Uscito nel 2001 presso le edizioni L’Escampette, è stato rivisto e ripubblicato nel 2022 addirittura dalle Belles Lettres, una casa editrice dedicata soprattutto alla pubblicazione di classici latini e greci, e di classici cinesi, anch’essi con tanto do di testo originale accanto, per lo più. Splendida l’edizione recente, 2022, di Tao Yuanming, grandissimo poeta taoista del IV secolo d. C., nel periodo cosiddetto delle sei dinastie, tra la caduta degli Han e l’avvento dei T’ang. Il testo è introdotto da un avvertimento: “Il testo che segue è stato trovato tra le carte d’Antoine Percheron dopo la sua morte. Aveva venticinque anni e soffriva di un tumore al cervello. Ciò spiega il carattere incompiuto di queste pagine, rispettato perfino nei punti vuoti lasciati dall’autore in vista di una revisione che non poté fare. L’avventura della metamorfosi è seguita passo passo, il narratore registra via via come cambiano le sue sensazioni, i suoi impulsi, perfino il gusto. Sente la pelle indurirsi, le gambe unirsi. Riflette su quale albero potrà diventare, un pino, un platano, un faggio. Avverte le ferite del coltello di qualcuno che incide il proprio nome sulla corteccia: “Perché gli uomini sono ossessionati dalla voglia di lasciare una traccia?” Si pensa a Ovidio. A Kafka. A Bernini che imprime sul marmo la meraviglia di Dafne nel vedere le proprie mani trasformarsi in rami e foglie. Ma c’è un sottotesto. Tutto il racconto è la metafora di una malattia. La vita stessa sentita come l’invasione di una malattia che trasforma i corpi. E poi la morte, il silenzio, l’insensibilità della morte. Un albero sentirà tutto questo? A Parigi, nel Théâtre La Reine Blanche, la compagnia teatrale Watermelon ne ha fatto nel 2019 uno spettacolo di successo: Judith Gars recita sulla scena il testo, scenografia di Guillaume Parra. Suoni di Samuel Gutman.

Lo spettacolo alla Reine Blanche di Parigi

“Ed è la che ho preso coscienza della schizofrenia che s’insinuava in tutti i pori della mia pelle. Per il momento, restavo un uomo, con la mia voce, il mio simil-corpo, i miei pensieri su quei figli di puttana d’alberi che ammazzano tutti gli anni. Pensavo razionale, pensavo umano, pensavo Descartes, era chiaro sul momento, rifiutavo in blocco l’idea che un albero fosse la mia pelle. Che la mia pelle si sia fatta albero. E dunque, sono io che mi faccio trapassare il corpo. Mai sarò io un albero, ma non sarò mai più nemmeno un uomo. Sarò un umano travestito da albero”. E l’amara conclusione: “Ero considerato come un meticcio, un sangue misto. Mica un puro, mica un duro. Un tra-due. Non avevo voce in capitolo, solo la mia presenza era autorizzata, molto obbligati. // Un giorno, iniziazione, e ammesso nel grande ordine dei pini”. Traduzioni mie.

La malattia è il rovescio della vita. Ma entrambe si soffrono come una trasformazione, una inadeguatezza. Soprattutto se se ne conosce il termine. E dunque l’estraneità agli altri, e perfino a sé stesso. Un meticcio. Né carne né pesce. Non sappiamo che scrittore sarebbe diventato Antoine Percheron. Ma questo abbozzo di romanzo è una domanda, senza risposta, che lascia ai sopravvissuti. Vi credete diversi? vi credete non alberi? Difficile, forse proibito mescolare la scrittura e la vita. Tuttavia Antoine aveva perso la vicinanza del padre, ma aveva trovato un patrigno che lo amava. E aveva trovato una donna da amare tutta la vita. E l’aveva amata per tutta la vita. Perché non aveva avuto il tempo di disamarla. Come spesso accade con gli anni. Era accaduto a suo padre. Che messaggio voleva lasciarci in queste poche, lancinanti, vertiginose pagine? Che la morte è già presente nelle nostre trasformazioni via via che passa il tempo? La trasformazione indotta da una malattia è così diversa da quella meno percettibile che tuttavia ci trasforma via via che viviamo? e come reagirà la nostra sensibilità a queste progressive trasformazioni verso l’insensibilità della corteccia, il silenzio della morte? È così necessario lasciare una traccia di noi?

Ogni lettore troverà, se la troverà, una risposta. Ma tutti subiranno l’emozione di confrontarsi con una scrittura di rara freschezza e densità. Straordinaria la capacità di mescolare il livello alto e il livello basso dell’eloquio. Lingua parlata e lingua letteraria s’innestano l’una nell’altra senza fare sentire la sutura. Nel mare di sciocchezze che sembra inondare, salvo rarissime eccezioni, la letteratura italiana di oggi, questo “incompiuto” giovane scrittore francese ci addita la strada da percorrere. Di dire – come suggerisce Wittgenstein – ciò che si può dire, e aggiungo: che si deve dire. Ciò che non si può dire – e che non si deve dire – bisogna tacerlo. Allo scrittore, al lettore, distinguere dove stia il possibile, e dove invece la necessità del silenzio.

Antoine Percheron, Végétal, Paris, Les Belles Lettres, 2022

- 14/09/2022
TAGS: libri

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