Un sonetto di dieci anni fa

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Se ne scrivono ancora, avrebbe detto Vittorio Sereni. Parlava dei versi. Io mi sono misurato addirittura con la “nobile” e secolare forma del sonetto. L’equivalente moderno, credo, dell’epigramma alessandrino. Eccone uno da me scritto dieci anni fa, esattamente dieci anni fa. Mi è capitato sotto gli occhi per caso. Ci ha pensato Facebook. Strano rileggersi dopo anni. Si ha l’impressione di leggere lo scritto di un altro. Tuttavia qui esprimo una mia idea ricorrente: l’irreversibilità e l’irrecuperabilità del tempo trascorso, quello che Virgilio, con stupenda sintesi, chiama “irreparabile tempus”. Misurarsi con la scrittura di un sonetto rischia confronti compromettenti e accuse d’inattualità. Ma tant’è, l’ho scritto. (Nella foto, la mia stanza della musica).

 

E quando avrai guardato indietro a tutte
le tue gioie perdute, a quei dolori
che assediano i ricordi, e le distrutte
follie di primavera estivi ardori
le seccheranno, e in gola rese asciutte
sentirai le tue lacrime dai cori
dell’inverno, se canterai le brutte
fantasie di un domani buttafuori,
che dirai alla tua sete di mani,
all’insaziata voglia di guardare,
al desiderio di mille domani
che aspettino il risveglio, e che fare
se ti sembrano solo ciarlatani
coloro che ti spingono a sperare?
Monte Caminetto, Sacrofano, Roma, 10 agosto 2012
- 10/08/2022
TAGS: poesia

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