Le regole dell’improvvisazione

Dino Villatico

L’attacco è folgorante. Un ritmo giambico insistente. È Lenox Avenue di William Grant Still. Senza soluzione di continuità segue la Sonata in sol minore K. 8 di Domenico Scarlatti. Anche qui un ritmo giambico scandito ossessivamente dal pianoforte. La traccia seguente inverte l’ordine. Abbiamo la Sonata in la minore K. 3 alla quale segue Dancer in Love di Duke Ellington. Qui ciò che sembra accomunare i due brani è la complessità dell’elaborazione ritmica unita all’imprevedibile cromatismo della melodia. Se il ritmo si fa complesso anche l’armonia non è più elementare. Segue un brano programmaticamente infantile di Chick Corea, Children’s Song, seguita dalla Sonata in si bemolle maggiore K. 504. E così di seguito fino all’ultima traccia, la sesta, in cui una malinconica, lamentosa Sonata in si minore K. 87 si unisce a una ugualmente malinconica e lamentosa melodia cubana, Cortesana di Ignacio Cervantes, figura assai singolare della musica latinoamericana che chiude il secolo XIX. Cuba ha un ruolo importante nel definire la modernità di una certo filone musicale. Ma anche della letteratura: non solo Lezama Lima, ma indirettamente anche Javier Marías, di origini sia cubane sia spagnole – Ortega y Gasset. Evidente l’influsso delle mazurke di Chopin. Ma era impossibile sfuggirvi, se si assumevano modelli popolari. Il fatto che la maggior parte dei compositori delle cosiddette scuole nazionali (ma non erano scuole e tanto meno nazionali) fossero slavi significa qualcosa. E la musica popolare spagnola e latinoamericana insieme a quella popolare slava ha, almeno dal XVII secolo un grande peso sulla musica europea. Danze come la sarabanda, la ciaccona, il bolero, condividono il successo con la polonaise, la polka, la mazurka, Che cosa unisce tutte queste tracce? Il carattere apparente d’improvvisazione delle musiche. Solo che anche l’improvvisazione ha invece regole e non segue l’estro immediato del momento, ma obbliga l’estro a seguire una traccia – consapevole o inconsapevole non importa – formatasi via via con la tradizione. Anche nel jazz. E anche nella musica cosiddetta d’intrattenimento, come per esempio il tango, che nasce a Cuba, come habanera, e diventa milonga nel Rio de la Plata tra Buenos Aires e Montevideo (uno dei tanghi più famosi, La Cumparsita, è sì platense, ma non porteño, cioè di Buenos Aires, bensì di Montevideo), e nel Rio de la Plata assume la sua forma e il suo ritmo definitivo di tango. Questo carattere d’improvvisazione è forte anche nelle sonate scarlattiane, così come l’influsso della musica popolare spagnola. Marco Fumo è bravissimo a scivolare da un piano all’altro senza far sentire la differenza o, meglio, facendone cogliere le affinità strutturali. Se ne trae una grande lezione. Come nella poesia non è il significato delle parole a determinare il poetico, bensì l’uso che se ne fa, l’atmosfera che se ne crea, la musica che se ne intona, proprio come recita l’esergo di Borges che si legge nel booklet, così nella musica non è un ritmo, una melodia a determinare il carattere del brano, bensì l’uso che si fa del ritmo e della melodia, il campo armonico in cui si finisce per immergerli, le avventure di nuove idee e variazioni che sorgono dall’idea di partenza. E qui soccorre la mano del pianista, la sua sensibilità a differenziare il tocco, la sua capacità di insinuare nell’ascoltatore la vivacità affermativa o il languore estenuato di un ritmo. Pur troppo questa è l’ultima incisione che potremo ascoltare dalle duttili mani di Marco Fumo, perché proprio appena completata la registrazione di questa serie di danze e canzoni un ictus ha colto all’improvviso il pianista, che per fortuna è scampato, è sopravvissuto, ma non può più suonare. Almeno per ora. Abbandoniamoci dunque all’ascolto di queste splendide e regolatissime improvvisazioni. Senza tempo, come ci suggerisce il titolo dell’album.

Timeless. Marco Fumo Piano. Odradek, 2024.