Il mito che spiega il presente: i fondamenti della ricerca

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L’uomo, e non solo l’uomo della strada, ma assai spesso anche lo studioso, l’intellettuale, sente sovente incoercibile il bisogno di riferimenti certi, di circoscrivere con chiarezza il suo campo di pensiero e di azione. Da qui la tentazione, spesso, appunto, come si è detto, invincibile, di cedere all’illusione della certezza che sembrano offrire i giudizi morali. Ma il punto, invece, è che la realtà è più complessa di qualsiasi nostro giudizio, anche scientifico, di comprensione, figuriamoci poi dei giudizi morali, che sono una costruzione esclusivamente umana, la quale non intacca la natura degli avvenimenti e delle cose. Anche perché, assai spesso, il giudizio morale tende a farsi giudizio moralistico, vale a dire un giudizio che non nasce dalla riflessione sulla complessità del reale, anche del reale umano, ma che anzi questo reale si sforza di adeguarlo a idee, giudizi che ne prescindono, che vi si sovrappongono, come esigenza imprescindibile e tuttavia fallace, quando non addirittura come verità conclamata. Un po’ ciò che Marx dice dell’ideologia, falsa coscienza che invece di adeguare le idee al reale si ostina ad adeguare il reale a idee preconcette, che con il reale non hanno rapporto. Tutto ciò, questa necessità di giudicare il reale in base a idee preconcette, è, era fondamentalmente estraneo ai grandi tragici greci, i quali non è che mancassero di elaborare una propria etica, ma l’etica da essi elaborata non nasce da giudizi estranei agli avvenimenti della storia, bensì proprio dalla riflessione sulla storia (discorso assai simile si potrebbe fare per Shakespeare: il suo teatro non dà, e nemmeno cerca, risposte chiare, definitive, ai problemi della vita, pone interrogativi – to be or not to be, dove l’insistenza non è sul to be, ma sull’or – suggerisce questioni, e lascia al pubblico di trarne le conseguenze). Che Sofocle fosse amico anche di Erodoto e più che amico di Euripide dice molto sul suo modo di affrontare il mito e la storia. Il mito, appunto, che prescinde sempre da qualunque giudizio morale su persone ed eventi. Come, nella tradizione popolare, la fiaba: evidentemente non lo sanno gli sprovveduti che vorrebbero correggerla, moralizzarla. Proprio il giudizio morale, anzi, ha sviato, nella tradizione umanistica, la comprensione del teatro tragico greco (ma anche di quello comico). A cominciare dall’incomprensione da parte di Freud del mito di Edipo, che giudica con le idee sul sesso, sulla famiglia, di un uomo colto della fine del XIX secolo, e non si sforza di comprenderlo nel contesto sociale, culturale e perfino politico dell’Atene del V secolo avanti Cristo. Giustamente Franco Ferrari, nella bella edizione B.U.R. dell’Antigone, dell’Edipo Re e dell’Edipo a Colono (Milano, 31a) vi si sofferma, nell’introduzione, e cita un bel passo da Psyche di Erwin Rohde.

Qualcuno mi ha obiettato di “toccare una questione complessa. E’ ragionevole immaginare che Freud, o chiunque altro viva 25 secoli dopo i tragici greci, possa spogliarsi del suo bagaglio culturale ed immergersi nel sentire comune per il quale quelle tragedie furono create? Dobbiamo forse immergerci nella particolare forma che il pietismo assunse nella Germania del ‘700 per apprezzare una cantata di Bach? Sapere cosa fosse quella spiritualità aggiunge certo qualcosa alla comprensione dell’opera, ma come dimenticare tutto ciò che è stato composto dopo Bach? E quand’anche ciò fosse possibile, è poi veramente necessario? Non è più ragionevole con Gadamer accettare che ogni opera sia un fatto che si offre continuamente all’ermeneutica?” Ho trascritto alla lettera l’obiezione. Rispondo che non è questo il punto. Il punto sostanziale è che il giudizio morale, o, peggio, moralistico, non debba intrufolarsi nel giudizio sull’opera. Il punto, inoltre, è che se si vuole affrontare un testo, antico o moderno che sia, bisogna precedentemente munirsi delle conoscenze che permettano di comprenderlo nel contesto in cui fu scritto. Se no, a che cosa servono la filologia, la storia, e lo studio della storia? Dopo di che sono permessi tutti i voli interpretativi possibili, ma che tengano comunque conto del significato originario del testo, del significato, soprattutto, che il testo aveva per coloro ai quali si rivolgeva. Ciò ha una conseguenza importante nel teatro, e in particolare nel teatro di oggi (ma dovremmo dire di ogni tempo). Cercherò di approfondire più avanti. La necessità di attenersi comunque alla reale significazione del testo, anche quando poi ci si avventuri in interpretazioni che lo stravolgono, è una premessa inevitabile di qualunque rapporto serio con un testo. O con un oggetto, che sia o non sia d’arte. Posso fare qualunque uso, dare qualunque interpretazione di un totem, ma non posso mai, e insisto: mai, dimenticare il significato reale di un totem nella cultura che lo ha creato. Si tratta di un criterio che soprassiede a qualsiasi atto della conoscenza, e anche l’accostamento a un’opera d’arte è un atto della conoscenza (il che non vuol dire che sia un atto razionalistico: la conoscenza si apre a molti campi, è attutata non dal solo intelletto, l’irrazionale vi ha grande spazio, ma non si pensi che l’intuizione vi appartenga, perché invece un’intuizione è un atto dell’intelletto, come già dimostra Aristotele: i principi della matematica sono intuizioni, ma non per questo sono irrazionali). Ciò è tanto più valido proprio per Freud, il quale da scienziato doveva sapere quanto l’analisi di un oggetto non debba essere condizionata, né tanto meno distorta, da idee estranee a quelle necessarie alla comprensione dell’oggetto. Gli va dato atto che non si lasciasse sviare da preconcetti moralistici, ma la lettura del passato è da lui filtrata dall’esperienza del presente, senza alcun distanziamento storico. Di fatti, i filologi suoi contemporanei giustamente criticarono non già la sua concezione del complesso di Edipo – non avevano gli strumenti per confutarla – ma la sua interpretazione della tragedia di Sofocle, che già Goethe aveva inteso nel suo reale significato storico e poetico, e Goethe apparteneva alle letture abituali di Freud. Ma per esempio un antropologo come Malinowski mette in discussione l’universalità del complesso di Edipo, in quanto alcune popolazioni, per esempio quelle della Melanesia, non ne mostrerebbero traccia. Inoltre, che significa, come mi si dice da chi obietta, “immergersi nell’atmosfera del pietismo” per capire Bah? Non si chiede di diventare pietisti, e tra l’altro Bach adopera testi di pietisti, ma non è particolarmente bendisposto verso il pietismo, ma chi voglia affrontare seriamente la comprensione dell’opera di Bach, sì, deve informarsi su che cosa fosse il pietismo (e questo diventa ancora più importante per capire Goethe). Su ciò Alberto Basso ha scritto pagine illuminanti. Si chiama conoscenza della storia. Per non affrontare poi il discorso, ancora più complesso, del linguaggio, dello stile, ecc. Il sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare”, di Dante, contiene parole che all’epoca significavano tutt’altro da ciò che significano oggi. Onesta significa degna di onore, gentile significa nobile, nata da famiglia nobile, e così via. Anche l’arte pretende un accostamento competente. L’emozione che suscita è importante, ma può anche essere fuorviante, se non è sostenuta, accompagnata da strumenti per comprendere che cosa veramente l’opera significhi. Non solo, ma la conoscenza del reale senso dell’opera non diminuisce affatto l’emozione che l’opera provoca in chi vi si accosta, anzi l’accresce. Faccio un altro esempio, sempre da Dante. Si sono versati fiumi d’inchiostro sulla commozione che afferra Dante alla storia di Francesca. E si è fatta una lettura emotivamente romantica dell’episodio. Il vero significato, invece, è un altro e non riguarda solo la commozione per una storia terribile – che c’è. Francesca si rivolge a Dante con le parole dello stil novo. Ora, l’amore stilnovistico conduce alla salvezza, la donna è un angelo che salva. Dante scopre che Francesca, l’angelo di Paolo, conduce alla dannazione. Altro che dimenticarsi del fatto che Francesca è una dannata. Proprio perché Francesca è una dannata Dante entra in crisi, gli crolla tutto il mondo ideale che si era costruito. Tutto ciò è molto bene spiegato da Sapegno nel commento alla Commedia. Ecco, non si chiede d’immergersi nel tempo in cui l’opera fu concepita, si chiede, più terra terra, di fornirsi delle cognizioni indispensabili a comprenderne il senso. Chi legga la Commedia e non sappia niente di Aristotele e della scolastica non capirà un’acca di ciò che legge o, meglio, si farà un’idea molto parziale del poema. Si rimbocchi dunque le maniche e si metta, se non altro, a informarsi su che cosa Aristotele, San Tommaso, Duns Scoto hanno detto. E s’infarini di storia medievale, soprattutto italiana. Mi dispiace, ma l’arte non è “ingenua”, “istintiva”, immediatamente percepibile. Richiede, come qualsiasi altra attività umana, il bagaglio di conoscenze necessarie per la sua comprensione. Anche la cosiddetta arte popolare, l’arte che sembra nascere spontanea, ha in realtà codici e regole che ne determinano forma e contenuto. A scuola questo si dovrebbe insegnare. Un film di Bergman, per esempio, non è un film dei Vanzina, anche se bisogna essere muniti di strumenti giusti anche per godere dei film dei Vanzina. La competenza, insomma, che sia erudizione o semplice bagaglio attuale, non è un additivo, ma lo strumento necessario a capire qualunque cosa. Se un’opera contemporanea sembra non richiedere simili strumenti di comprensione è perché, in quanto contemporanea, se ne condivide la cultura, e dunque gli strumenti sono già forniti dalla cultura condivisa. Non si tratta, perciò, di “spogliarsi” del proprio bagaglio culturale, ma anzi di adoperarlo per capire la distanza e la differenza di un’opera, quando l’opera non sia del proprio tempo o della propria cultura. Quanto a Gadamer, non dice esattamente ciò che l’obiettore gli attribuisce. Certo che ogni opera è continuamente reinterpretata, ma ogni nuova interpretazione sempre tiene presente la conoscenza basilare dell’opera, di ciò che l’opera ci vuole dire, le nuove interpretazioni arricchiscono questa conoscenza primaria, ma non la modificano. L’Iliade di Omero, oggi, non la leggiamo più con gli occhi e la mente dei contemporanei di Omero, ma informarsi su quale fosse la cultura, e la lingua, dell’epoca di Omero non guasta. Ecco perché, e vengo alla questione sopra additata del teatro (Edipo Re, del resto, non lo si dimentichi è una tragedia, è teatro). Quanto fin qui sostenuto sembrerebbe in contrasto con la mia entusiastica adesione alle riscritture attuali della drammaturgia di un testo classico. Invece no, perché la riscrittura drammaturgica non è uno stravolgimento, ma appunto una riscrittura, e dunque un arricchimento del testo di partenza. E magari, ciò che a una parte del pubblico potrebbe sembrare stravolgimento, o addirittura tradimento del classico amato, potrebbe invece nientemeno farne penetrare o mettere in luce aspetti e significati che una lettura letterale avrebbe nascosto. Lo smantellamento delle immagini sacre di una chiesa con cui si apre la messa in scena salisburghese del Don Giovanni di Mozart attuata da Romeo Castellucci non è infatti un’aggiunta arbitraria, un intervento estraneo al testo, ma una visualizzazione del suo significato profondo. Il sottotitolo del “dramma giocoso” (e nel linguaggio teatrale del tempo significa “opera buffa”, sono dunque, queste sì, estranee al testo le interpretazioni che vedono nel termine una messa in evidenza del lato drammatico dell’opera: la commistione di serio e buffo, di tragico e comico, nell’opera comica settecentesca è già presente nel teatro di Pergolesi all’inizio del secolo), il sottotitolo recita “il dissoluto punito”. Un’edizione seicentesca del mito di Don Giovanni, opera di Alessandro Melani, s’intitola L’empio punito. E già nel Burlador di Tirso la connotazione atea del protagonista è essenziale a comprendere lo svolgimento del dramma. Nel Dom Juan di Molière, 1665 – tenuto presente sia da Da Ponte sia da Mozart – l’ateismo di Don Giovanni è dichiarato, nella bellissima scena dell’incontro tra il seduttore e un mendicante. La moneta che il libertino dona al mendicante non gliela dona per l’amore di Dio, come il mendicante chiedeva, ma per l’amore degli uomini. Ecco, bisogna tener presente tutto questo ampio contesto perché la scelta apparentemente provocatoria di Castellucci si riveli invece per un denundamento del senso profondo del dramma. Alla richiesta di pentirsi, che gli fa la statua del Commendatore, Don Giovanni risponde secco con una sola sillaba: no. Ecco il senso di quello smantellamento delle immagini sacre. Il che comunque non salva il dissoluto, ma lo pietrifica, alla lettera: lo trasforma in una statua di gesso, per sempre, nel gesto di quel no a Dio. E qui si possono aprire infinite interpretazioni. È il no a Dio della società di oggi, come già sostenevano i libertini veneziani nel cui ambito nasce il libretto dell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi? E come sembrerebbero affermare Tirso de Molina, Molière, Da Ponte? E come metterà sulla scena Bernard Shaw nel suo splendido Uomo e superuomo? In conclusione, non esiste interpretazione, per quanto apparentemente lontana dal significato originario dell’opera, che in realtà non debba tenere conto, e di fatto tenga conto, del punto di partenza: il testo dell’opera e l’opera nel suo contesto. A tutto questo discorso si potrebbe aggiungere un corollario. È solo nel campo dell’arte, della letteratura, del teatro, che il giudizio morale, o peggio, moralistico, dell’opera conduce fuori strada? Solo nella letteratura, nell’arte, nel teatro, ogni riflessione deve partire dall’oggetto su cui si riflette e non da idee estranee imposte all’oggetto? Solo nell’arte, nella letteratura le mie idee morali, la mia concezione della vita non devono interferire con l’oggetto con cui mi confronto? In politica no? In società no? Consegno la domanda al lettore. Ma quanti sbagli, quanti errori, quante storture, quanti orrori si eviterebbero se invece d’intestardirsi sulle proprie idee, a prescindere dai fatti, si guardassero i fatti, e solo i fatti si analizzassero?

- 01/07/2022
TAGS: teatro

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