Si cita spesso, a difesa dell’idea di una superiorità del regime di democrazia sugli altri, il discorso che Tucidide mette in bocca a Pericle. Ma il discorso non fu mai pronunciato da Pericle così com’è scritto: è rielaborato, anzi reinventato da Tucidide. Come del resto la tradizione storiografica imponeva. Riassume bene, tuttavia, il pensiero che probabilmente fu di Pericle. L’idea distorta, invece, che oggi si ha per lo più di democrazia è credere che essa consista di fatto nella sopraffazione dei più su una minoranza, nel diritto di una maggioranza a imporre a tutti il suo modello di vita comune. Idea che non corrisponde affatto al concetto di democrazia come si è sviluppato dall’antichità a oggi. L’etimologia della parola, potere del demos, del popolo, può condurre fuori strada. In quanto il demos non è il popolo come comunemente è oggi inteso, né tanto meno come è inteso dai populisti, bensì il popolo che agisce attraverso le sue istituzioni, i suoi rappresentanti, e con le leggi che tali rappresentanti promulgano, leggi che tutti sono poi tenuti ad osservare. Il suicidio di Socrate ne è un esempio. Democrazia è, dunque, il rispetto l’uno dell’altro, e dunque anche della maggioranza rispetto la minoranza. Il confronto con chi pensa diversamente, sua regola fondante. Il pericolo interno di ogni democrazia è invece di non rispettare questo rispetto, di trasformare la maggioranza in tirannide dei più sui pochi. Cosa che accadde in Atene, decretando così la fine della democrazia nel mondo antico, e cosa che sta riaccadendo oggi, nel mondo intero. Spero, però, che l’esito non sia oggi lo stesso. Ma temo invece che sarà proprio così e che dovremo arrenderci ad altri mille e più anni di predominio di masse incolte e fanatizzate guidate da astuti e cinici demagoghi su minoranze realmente democratiche della popolazione. Un male? Non lo so. Le società non democratiche nella storia sono sempre state prevalenti. E non è detto che abbiano prodotto incultura: Cina, Roma, Russia, Persia, signorie rinascimentali, monarchie assolute del sei e settecento europeo. Nel Nuovo Mondo, Maya, Aztechi, Incas. L’assolutismo è sempre una disgrazia per l’individuo, ma non è detto che sia una catastrofe per la società. Duro da accettare. Ma è così. Quanto alle democrazie, il loro punto debole è il bisogno estremo di denaro per mantenere il benessere di TUTTI i cittadini. Ciò le costringe quasi sempre ad essere sì democratiche all’interno, ma antidemocratiche se non addirittura imperialistiche all’esterno, da Atene alla Francia repubblicana, agli Usa, alla Gran Bretagna. Anche questo era già stato compreso da Tucidide, quando riconosce che una democrazia per sopravvivere deve comunque attuare una politica di grande potenza, altrimenti soccombe alle pressioni degli Stati antidemocratici. Solo che attuando tale politica finisce per contraddire la propria natura democratica e comportarsi in fondo come qualsiasi Stato autoritario e imperialistico. Esempio tragico il comportamento degli USA nei confronti dei paesi dell’America Latina, che giustamente li temono e non li amano. Come uscirne? Per ora forse – forse! – solo con un pensiero utopistico e una conseguente politica piena di rischi. primo tra tutti, quello di alimentare il dissenso interno. Ma è indubbio che le potenze di oggi dovranno trovare un modo non conflittuale di convivere, accettarsi, accettare le differenze e disporsi a una reciproca collaborazione politica, ma soprattutto economica. In un mondo ormai globalizzato diventa immediatamente globale qualunque conflitto. Dubito però che le nazioni del mondo riusciranno oggi a trovarlo. Anche perché l’Occidente “democratico” non è poi così integralmente democratico come dichiara di essere, non ha ancora per esempio fatto un esame serio di autocoscienza, ma vive, appunto, di una falsa immagine di sé stesso, di una provvisoria e talora illusoria democrazia interna, ma esercita di fatto una violenta imposizione coloniale, economica innanzi tutto, ma anche politica, all’esterno. USA, Europa, campioni di democrazia, da una parte, e Cina, Russia, dall’altra, nei confronti dell’Africa, ad esempio, non si comportano in maniera sostanzialmente diversa, e la loro politica riesce comunque predatoria più che cooperante. Anzi l’autoritaria Cina offre in fondo maggiori aiuti concreti – infrastrutture – del più rapinatore, ma democratico, Occidente. Allora? Be’, ce lo chiarisce, anzi ce lo spiega, anche se a noi occidentali la cosa risulta sgradita, l’appoggio che due terzi del mondo stanno dando alla Russia di Putin: perché la parte sfruttata del mondo, e sfruttata da Europa e Usa, non ha affatto dimenticato lo sfruttamento subito. E che Russia e Cina siano peggio, lo pensiamo solo noi occidentali, che fummo e continuiamo a essere gli sfruttatori. Si badi, ciò non è tutta la realtà, e Cina e Russia non sono meno predatori dell’Occidente, ma questa è la percezione di quella parte di mondo che fu dall’Occidente colonizzato. Ciò non significa, però, che bisogni giustificare e appoggiare l’aggressione di Putin all’Ucraina, e quella probabile, futura, a Moldavia e Georgia. Bisogna anzi fare tutto il possibile per arrestarla, bloccarla. In ogni caso opporsi, aiutare l’Ucraina. Ma che questa sia la realtà dei fatti sono i fatti stessi a dirlo. La democrazia, del resto, non è un “valore” in sé, autonomo, valido per tutti i popoli e tutte le occasioni, non tale comunque che giustifichi chi la sostiene e la difende di pretendere di stare dalla parte giusta, ammesso che nella storia esista una parte giusta e una parte sbagliata. Giusto e sbagliato sono attributi che il politico, lo storico dovrebbero ignorare, lasciarli alla propaganda. La democrazia è giusta per chi vive nei regimi democratici. E per chi aspira a viverci, in quanto ha già subito una dittatura e ne conosce l’oppressione. Ma non per tutti gli altri, ai quali nemmeno si pone il problema di quale regime scegliere: uno, perché non possono sceglierlo; due, perché, prima ancora di scegliere sotto che regime vivere, sono costretti a pretendere che si permetta loro di sopravvivere. La libertà è un principio sacro solo per chi è sazio. O ha la cultura politica per comprenderne la necessità. Ma anche su questo Machiavelli aveva visto lontano: il “principe” vuole dominare, imporre il suo potere, renderlo indiscutibile; il popolo, o piuttosto il sottomesso, vuole invece solo non essere dominato, non subire un potere che giudica alla fine dannoso per sé e per il paese. Ma di ciò il popolo si accorge solo quando il potere diventa oppressivo in modo inaccettabile o quando non è capace di garantirgli una vita appena decente, una sopravvivenza assicurata, abolite la miseria e la fame. In altre parole, quando nel popolo sorge la percezione di avere diritto a vivere meglio. Ciò che noi chiamiamo, appunto, consapevolezza dei propri diritti, coscienza politica. Cosa tutt’altro che automatica, e spesso assente anche in chi gode di accettabile benessere. È qui che comincia il lavoro politico: nel far prendere coscienza dei principi che regolano il vivere sociale, nel far conoscere, e a tutti, quali siano e che cosa siano i diritti del cittadino e che differenza passi dall’essere suddito all’essere cittadino. Si può, infatti, essere sudditi anche in una democrazia. Ed è questa la strada che mi sembra oggi pur troppo intrapresa dalla maggior parte delle popolazioni del mondo. Soprattutto nelle democrazie occidentali. Perché invece nei regimi autoritari sembra destarsi la consapevolezza dei propri diritti, la ribellione contro chi li nega e li reprime. Per esempio, tra le donne dell’Iran, tra le piazze della Georgia. E fa male, perciò, la sordità, la cecità dell’Occidente “democratico” a questa loro rivolta. Disgusta il mai smentito opportunismo antidemocratico delle democrazie, gelose, tutte, da una parte dei propri privilegi interni, ma cinicamente realiste dall’altra nelle relazioni con gli altri popoli. Pecunia non olet, dicevano i Romani: il denaro non ha odore. E nemmeno il petrolio, nemmeno i minerali necessari allo sviluppo tecnologico. Chi vivrà vedrà. Ma tremila e più anni di massacri ci hanno abituato a non sperare che le nazioni possano cambiare comportamento. Salvo che dal basso, dai cittadini in rivolta, non si riesca a costringerle.
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