Il testo si presenta come un urlo di denuncia e un’intensa riflessione sulla realtà dei senzatetto: spesso sotto gli occhi di tutti, ma più per curiosità e giudizio che per un reale senso di umana pietà e solidarietà. Il sensibile Mastandrea, invece, ci invita a fermarci e a decentrarci, osservando coloro che vivono ai limiti della società. Cercando, quindi, di restituire valore ai cosiddetti “ultimi”, smuovendo le coscienze degli ascoltatori empatici, Mastandrea si propone un brano che ricorda tanta produzione di Fabrizio De André. In particolare, vengono alla mente le parole utilizzate dal grande cantautore genovese in Smisurata preghiera: “Ricorda, Signore, questi servi disubbidienti alle leggi del branco, non dimenticare il loro volto che ha visto l’inferno”.
Parlando della musica, Mastandrea voleva inizialmente scrivere una ballata pop dalle influenze classiche. Alla fine, è venuto fuori un brano caratterizzato da una elegante progressione sonora, con un inizio delicato che si fa pian piano più vigoroso, tanto nella strumentazione quanto nel modo di cantare. In questo modo, l’urlo di protesta del nostro artista sembra quasi personificarsi. E se scrivere, come sosteneva Pablo Neruda, “un urlo che si fa parola”, questo discorso può senz’altro essere applicato anche alla musica.
Per concludere, abbiamo un brano capace tanto di far emozionare quanto di scuotere le coscienze. Ascoltare per credere.