Paolo Pera, scrittore, fumettista, pittore e scultore pubblica PietĂ per lâesistente. Satire e poesie censurabili, in libreria da settembre per Ensemble Edizioni.
Il giovane autore piemontese, con questa raccolta di testi critici (sferzanti, seppur ironicamente) verso la contemporaneitĂ politica, religiosa, estetica e umana vuole farci riflettere. Infatti, lâio poetante eĚ qui lâosservatore di un Occidente che ha smarrito gli argini logici, come pure il senso del bello. Tra invettive e pasquinate, il poeta si scopre siĚ capace di unâinnata avversione per lâaltrui ÂŤbruttezza desiderataÂť ma anche compassionevole nei confronti del dolore che instaura questa bruttezza, ossia quel perdimento che fa decadere lâuomo nella caotica boria relativista.
Ciao Paolo. Prima di tutto, cosâè per te la poesia?
Effettivamente questa è una di quelle domande che non mi vengono poste tutti i giorni, anche perchĂŠ non saprei rispondere (chi ci riesce è bravo). So a malapena a dire due cose su quanto è tangibile, che dovrei dunque rispondere qui? Forse, ÂŤquegli oggetti scritturali fatti andando a capoÂť? Ma no, la Poesia â come ho giĂ detto in altre sedi, perciò ripetermi significherebbe banalizzarmi; le cose piĂš vengono dette piĂš perdono dâessenzialitĂ , se non dâessenza⌠â è una Voce che si intuisce, si sente interiormente, una Voce silenziosa (se non di Musa, di Dio?), la poesia (non la p minuscola, non so se si nota) è lâoggetto che se ne ricava⌠La non-poesia è, mi pare, quella cosa che voleva essere poesia ma che â per mancanza di linguaggio, incapacitĂ espressive, ispirazione posticcia, mediocritĂ di fondo del âpoetaâ, impreparazione tecnico-culturale, mancanza di ritmo â non riesce a esserlo: cosa decisamente allâordine del giorno, basta farsi una navigata nellâInternet, in specie sui social. Ciò che stupisce e inorridisce è che oggidĂŹ questa sia plaudita lĂ dove la poesia da considerarsi âveraâ rimane oggetto da cenacolo dâeletti, non compresa dai piĂš che â per giunta arroganti â dichiarano anacronistico il fare poesie ispirate. (Sono comunque tutte cose insensate).
Cosa ti ha spinto a scrivere PietĂ per lâesistente. Satire e poesie censurabili?
Non credo di poter dire davvero di aver avuto spingimenti, nel senso che non sono affatto certo dâavere il controllo della mia ispirazione: essa viene inaspettatamente (si sa), e molte volte al giorno (mi dicono grafomane infatti, e mica è una colpa⌠è un merito, semmai! BenchĂŠ solo se sempre e sinceramente ispirato). Fu cosĂŹ che lâanno passato mi ritrovai in un momento particolarmente polemico della mia riflessione poetico-filosofica (diciamolo, le mie sono anche poesie filosofiche, per la maggior parte), troppe cose non mâandavano giĂš (tante, ma sulla Pandemia poche; difatti ho inserito posteriormente una sezione, Cara nostra Peste, nella quale viene fuori un senso di incomprensione e sospensione di giudizio sullâargomento) ⌠ le mie prese di posizione verrebbero facilmente tacciate di âdestrositĂ â dal primo radical chic di passaggio, in realtĂ non è proprio cosĂŹ â anche e soprattutto perchĂŠ non mi ritengo un âpensatore di destraâ nel suo puro senso, tuttâaltro: ho molti piĂš elementi socialisti nella mia faretra etico-politica â ma, come i tempi ci dimostrano, la riduzione del linguaggio culturale (e giornalistico!) alla faciloneria messaggistica e social-mediatica porta a schematizzare tutto entro meta-categorie volgarissime: tu sei populista, tu sei comuâ, tu sei fascio, io prima â facendo unâillustre citazione (Tom Wolfe, dice niente?) usavo radical chic. Meta-categorie, appunto, da prendere con le pinze, da usare ma solo per approfondire subito dopo (cosa che il giornalismo âimpegnatoâ non ha tempo nĂŠ spazio di battute per fare). Oltre a ciò, che comunque temevo fortissimamente, a oggi nulla è capitato (nessun attacco terroristico contro la mia persona; esagero?), la ragione Vera sta â mi sembra di poter dire â nellâesergo poundiano (oh, che amore zio Ez!): ÂŤLâetĂ chiedeva unâimmagine / Della sua smorfia convulsaÂť (Hugh Selwyn Mauberley). Ah sĂŹ? Allora gliela dò io! Ecco ciò che, al fine, spinse⌠Pound la diede al suo tempo, da giovine come me oggi, e io al mio. Spero di aver fatto bene, comunque sia questa â racchiusa nella PietĂ per lâesistente â è lâimmagine che io dò della smorfia convulse dei nostri tempi (dellâodierno Esistente), tengo a sottolinearlo: non vâè pretesa dâuniversalitĂ , è la mia visione del brutto dilagato, il mio relativissimo sguardo critico.
Quanto è necessaria la poesia al mondo, al giorno dâoggi?
Sarebbe necessaria, decisamente! Ma il mondo manco sa cosâè. I biechi figuri che hanno piacere dâapprossimarsi alla poesia si votano allâÂŤacapismoÂť, generalmente, anzichĂŠ allâascolto attento della Voce. Voce di chi? Di mondi altri? Di un Altrove? Della Musa? Di Dio? Del Nulla? Bah! La propria profondissima Voce, lâinconscio! Lâunico pozzo meraviglioso che davvero può dare risposte ai perchĂŠ, ma pure ispirare la miserabile parola umana (finita) con una pseudo-infinitezza, e cosĂŹ rendere la propria ispirazione poesia. Chi questo non lo sa produce quello che vediamo orribilmente in giro. Drammatico vederli elogiati, poi⌠DĂ prova della mancanza assolutizzata, e piacente, dellâOggi.
Ci sono altri progetti in cantiere?
Ăstrega, se ce ne sono! Intanto una riedizione migliorata della mia opera prima (edita, non scritta), poi la seconda anta del Dittico di cui PietĂ per lâesistente è la prima. Lo spiego brevemente: nel Mauberley entro il quale mi muovo il giovine Pound (anche detto âPound piccoloâ) criticava la sua Era, come â guardate un poâ⌠â la pochezza dei poeti che lo circondavano (somiglianze?) e sĂŠ stesso tra questi: ÂŤNon toccato dal âcorso degli eventiâ / Cadde dalla memoria a lâan trentiesme / De son eage; il suo caso non aggiunse / Nulla di nuovo al serto delle MuseÂť, cosĂŹ io, appunto, nella seconda parte, che non si chiamerĂ nĂŠ PietĂ per lâesistente 2. Il ritorno nĂŠ PietĂ per lâesistente. Parte Seconda: La vendetta ma bensĂŹ Pena di me stesso. Intanto conto, ben poco felicemente (poichĂŠ mi è meno godibile della poesia), di concludere a breve la prima parte dei miei studi universitari, di continuare cosĂŹ a limare le mie moltitudini di opere inedite (tra cui le due cantiche del Paradiso immanente e dellâInferno della Ragione, un âInferno trascendenteâ dove il Male è forza permeante e circondante lâesistenza del poeta, Male che è poi sfidato con unâauto-elevazione a giudice severo del Brutto, in favore di un Bello reazionariamente inteso e stante tutto nel soggetto poetante, come spiega il critico e poeta Franco Trinchero). In conclusione, sempre come progetto venturo, tenterò di farmi scivolare addosso quellâiniquitĂ e miseria propria dellâessere umano (anche di certi âpoetiâ, che dicono di sentire profondamente pur essendo visibilmente finti nel loro esistereâŚ): arduo proponimento se penso che da sempre io mi sento Giudice, PantocratoreâŚ