Gli IYV e il peso della rinascita in “Renamer”

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Con “Renamer”, gli IYV affrontano un tema di grande profondità emotiva: il complesso percorso di reintegrazione sociale dopo un lungo periodo di dipendenza. Il titolo stesso racchiude il significato della canzone, evocando il bisogno di ridefinire la propria identità e di trovare un nuovo senso alla propria esistenza.

Il brano si sviluppa attorno a una narrazione intensa e coinvolgente, capace di restituire il senso di vuoto e smarrimento che accompagna chi cerca di ricostruire una vita “ordinaria” dopo aver vissuto l’autodistruzione. Il protagonista si confronta con le cicatrici del passato, con la consapevolezza di ciò che è stato perso, ma anche con il desiderio di stabilità e cambiamento.

Musicalmente, “Renamer” si muove tra atmosfere cupe e una tensione emotiva crescente, enfatizzata da un arrangiamento che alterna momenti riflessivi a esplosioni sonore di grande impatto. Le liriche, dirette e profonde, danno voce a un conflitto interiore che non cerca risposte facili, ma si immerge nelle complessità del cambiamento e della rinascita.

Gli IYV riescono a tradurre in musica la fragilità e la forza di chi lotta per riscrivere la propria storia, offrendo un brano che non si limita a raccontare, ma invita a riflettere sulle difficoltà e sulle speranze di chi si trova a ripartire da zero. “Renamer” è una traccia potente, autentica e necessaria, che conferma la capacità della band di affrontare tematiche profonde con sensibilità e intensità espressiva.

Scopri di più in questa intervista alla band.

“Renamer” racconta un percorso di rinascita dopo la dipendenza. Qual è stato il punto di partenza per voi nella scrittura di questo brano? Vi siete ispirati a storie personali o a esperienze vicine a voi? 

Renamer nasce dal bisogno di esorcizzare qualcosa che fa parte di te: quando realizzi davvero dove sei arrivato, cosa hai perso lungo il cammino e la necessità assoluta di ripartire. Il punto di partenza è stato proprio questo: la presa di coscienza di un vuoto interiore, dalla rabbia accumulata verso sé stessi e dalla difficoltà di trovare una nuova collocazione nella realtà. Nulla di tutto ciò è inventato, sono storie vissute direttamente, dedicate a persone che abbiamo incontrato e che ci hanno segnato profondamente, scritte con un’onestà totale, senza filtri. Renamer è la fotografia reale e cruda di quel preciso momento in cui decidi che devi cambiare nome, reinventarti, e trovare una via d’uscita. 

La canzone esplora il senso di vuoto e la difficoltà di reintegrarsi nella società dopo un periodo di dipendenza. Pensate che la musica possa essere uno strumento di supporto per chi attraversa questo tipo di percorso? 

Partiamo dall’assunto che il concetto di dipendenza non si limita solo all’abuso di droghe, alcool, farmaci, etc e che tutti noi viviamo all’interno di un loop di dipendenza: bisogni affettivi, di approvazione, di accettazione sociale, affermazione del proprio potere sugli altri, cibo, sesso, lavoro, likes, solo per indicarne alcuni. Quindi sì, la musica come qualsiasi altra forma creativa è uno strumento di supporto. Siamo permeati di frustrazioni e perdita d’identità, siamo spesso contenitori di sentimenti inespressi che faticano ad uscire, quindi scrivere musica, se fatto onestamente, è costruttivo e terapeutico. Prendi tutte queste emozioni, anche le più oscure e difficili, per trasformarle in qualcosa di concreto, utile, autentico. E questo è il primo passo per ritrovare sé stessi. 

Nei vostri testi emergono spesso tematiche di lotta interiore e consapevolezza del passato. Quanto è stato difficile affrontare un tema così crudo senza cadere nella retorica o nel pietismo? 

Non è stato difficile, onestamente. Non ci siamo mai posti davvero il problema di cadere nella retorica o nel pietismo, proprio perché non volevamo raccontare nulla che non fosse profondamente vero. Quando affronti un tema così importante, personale e lo vivi sulla tua pelle, la retorica semplicemente non esiste. L’unico modo di trattare argomenti simili è farlo con sincerità assoluta: dire esattamente quello che senti, senza cercare di rendere le cose migliori o peggiori di quello che sono realmente. In BLACKTAR non c’è niente di costruito, quello che ascolti è esattamente ciò che è, niente di più e niente di meno. 

“Renamer” parla anche della percezione che la società ha di chi ha vissuto un passato segnato dalla dipendenza. Cosa pensate che manchi, oggi, per un vero reinserimento sociale di chi cerca di ricostruirsi una vita? 

Chi esce da un periodo così complicato, a patto che stia davvero cercando di venirne fuori, si trova davanti a un percorso lungo, che non si risolve certo in pochi mesi. Possono volerci diversi anni per tornare ad avere una vita che si possa definire tale. In questa fase, il rischio di ricadute è sempre presente, e ciò che aiuta veramente è avere un obiettivo chiaro, qualcosa che dia uno scopo alla propria esistenza. Diventare costruttivi, smettere di raccontarsi scuse, prendere finalmente la propria vita in mano e decidere di andare avanti con determinazione.

Ma questo percorso non è semplice, ed è facile passare da una dipendenza all’altra. Serve essere onesti con sé stessi e capire esattamente cosa si vuole dalla propria vita. Certamente il supporto esterno è utile, ma se non c’è una vera e profonda volontà personale di cambiare, anche l’aiuto più forte serve a poco o nulla.

Di certo, chiunque attraversi questo tipo di esperienza porta con sé insicurezze profonde, spesso legate a traumi importanti. Una persona già in uno stato di fragilità non ha bisogno di sentirsi puntare il dito addosso. Serve piuttosto un aiuto per permetterle di trovare la propria identità. 

Il vostro prossimo album “BLACKTAR” esplora i temi della redenzione e della dipendenza. Quanto è stato importante per voi raccontare questa dimensione con sincerità e senza filtri? E cosa possiamo aspettarci a livello sonoro?

È stato fondamentale. L’unico modo possibile per trattare temi così personali e delicati era essere onesti, diretti, senza alcun filtro. Il rischio, altrimenti, è quello di creare qualcosa di finto e artificiale. BLACKTAR parla di cose vissute realmente e non c’è alcun compromesso per renderle più digeribili o più facili da ascoltare.

A livello sonoro, BLACKTAR è un disco che vive di contrasti: riff aggressivi e distorti in accordature drop D e drone, atmosfere che richiamano il grunge più crudo degli anni ‘90, e sonorità lo-fi e cheap del mondo digitale anni ’80 e ’90. Il risultato è un suono viscerale, intenso, a tratti volutamente sporco, perfettamente in linea con le emozioni che abbiamo voluto raccontare.

 

- 17/03/2025

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