Christian Frosio: “Il Diavolo e l’Acqua Santa” e l’equilibrio tra istinto, studio e visione sonora

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Nel nuovo disco Il Diavolo e l’Acqua Santa, Christian Frosio mette in campo una scrittura che si fa artigianato sonoro. Ogni brano nasce da una ricerca meticolosa: dagli arrangiamenti orchestrali costruiti su partiture scritte a mano fino a suggestioni cinematografiche che amplificano l’impatto emotivo delle composizioni. Con la sensibilità di un autore che non teme di mettersi in discussione, Frosio attraversa territori musicali differenti, lasciandosi guidare dalla necessità di ogni singola canzone.

Il lavoro di produzione – condiviso con Francesco James Dini – ha portato a una rifinitura profonda, in cui l’essenziale ha preso il posto del superfluo. Ne emerge un disco stratificato, ricco di tensioni e aperture liriche, che riflette un percorso di maturazione artistica capace di unire introspezione, rigore e libertà creativa. Nell’intervista che segue, il cantautore racconta come ha dato forma a questo equilibrio fragile e potente.

Hai curato ogni arrangiamento del disco. Come sei arrivato a equilibrare orchestrazioni classiche e tensioni rock?
Come un artigiano a bottega, ho provato e riprovato a dare alle canzoni quella veste orchestrale che mi chiedevano. Ho studiato come scrivere su spartito, fondamentale per stratificare le parti strumentali, e ho analizzato opere di musica classica. In “Capirsi”, ad esempio, cercavo un elemento tensivo tra violini primi e secondi: l’ho trovato ispirandomi allo Stabat Mater di Pergolesi.

C’è un brano in cui ti sei allontanato maggiormente dal tuo solito modo di comporre?
Ce ne sono diversi. In un “Un Mondo che si Abbraccia” sono partito dal testo, cosa che faccio raramente e difatti la canzone ha preso una struttura inusuale, direi lineare. In “Dimmi cosa c’è che non va” sono partito da un’idea melodica nata in sogno, su cui poi ho costruito tutto il resto.

In “Supereroe” si percepisce un’influenza cinematografica. Hai guardato a qualche colonna sonora in particolare?
Adoro la colonna sonora di Interstellar di Hans Zimmer, così come quella di “Koyaanisqatsi” di Philipp Glass. Nel trattamento degli archi, ho analizzato alcune parti della colonna sonora di Nelson Logan per il documentario “A Ghost Above” che racconta la spedizione sull’Everest alla ricerca dei corpi di Mallory-Irvine. La musica è anche questo: pescare da ciò che più ti stupisce, arricchendo la tua tavolozza sonora.

Hai lavorato con Francesco James Dini in produzione e mix: come si è sviluppato il vostro dialogo creativo?
Sono arrivato da James con tutti gli arrangiamenti e la pre-produzione dei brani ma con la necessità di confrontarmi per risolvere dubbi legati alla struttura di alcuni pezzi. James si è inserito esattamente in questi dubbi, aiutandomi a rinunciare ad alcune parti non necessarie ai fini della canzone. E’ complicato perchè spesso si sviluppa un affetto morboso verso ciò che si ha scritto. E’ stato quindi un lavoro di pulizia. Per il resto abbiamo lavorato con grande intesa.

Che rapporto hai con la sperimentazione sonora? Ti capita di uscire dalla tua comfort zone?
Cerco di non ripetermi e di inserire qualcosa che possa sorprendermi. Il tutto senza dimenticare che è la canzone a guidare le scelte e a indicarmi i limiti entro cui farlo. Non cedo ad uno sperimentalismo fine a se stesso che può lasciare il tempo che trova.

 

- 04/06/2025

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